Terre promesse

Come se clandestino, immigrato irregolare sull’isola, chiedo il permesso di accedere al “castello” ad altro intruso a pesca con i piedi nella bocca di mare.

Nel ’91 cavità galleggiante e di transito di tanti albanesi verso l’approdo nel porto di Brindisi. Tanti quanti gli spettatori capaci di affollare, in origine, l’anfiteatro romano di Durazzo.

Arena svuotatasi nella ancora vicina circostanza storica, come vuoto è tuttora il cinquecentesco Castello Rosso, ma rosso perché di carparo, costruito sull’isola di Sant’Andrea e abbandonato dalla Marina Militare Italiana.

In realtà, già prima del pescatore, cerco una voce autorevole di guardia a quella solitudine per ricevere uno straccio di permesso e accedere in modo più o meno sereno. Nel frattempo il maniero marino mi mostra la sua bocca e mi mangia.

Agli inizi degli anni ’90 masticava odori di piatti poveri dell’est più vicino che appesantivano soltanto gli abiti di coloro che riuscivano a scappare sulla superficie dell’Adriatico. Nello stesso tempo si lasciava prestare al ruolo di dolce modello di bocca promessa per il reshedie.

Rispettato o disilluso il pregiudizio dei tanti dirimpettai trasferitisi, questi hanno comunque iniziato sul nuovo versante, di pancia stavolta, ciascuno la propria ricostruzione, chi personale, familiare, professionale, chi attraverso lo scambio culturale, a volte a mo’ di cervi quando s’intrecciano con le corna, altre come montoni quando le teste “brindano” l’una contro l’altra. Crescita riflessa sul paese d’origine e per molti attraverso la visione di un ponte, quasi un progetto su cui anticipare il ritorno in patria delle nuove idee. Un percorso di ricostruzione e di contraddizioni lungo un ventennio, di breve durata se rapportato al tempo a noi ancora necessario per pensare alla realizzazione di un nostro ponte, piuttosto che alla riconversione e fruizione di un bene! Anche la cucina è un settore produttivo protetto e identitario di ogni paese e la crescita dell’Albania non poteva non passare pure dai fornelli.

Il dispiego delle ali delle aquile è stato il saluto di richiamo, ha avvicinato, anche mescolato i colori dei piatti italiani e pugliesi a quelli albanesi.

Aquile in Albania più che rapaci ispirate dalle nostre moderne tecniche di preparazione, progettano una gastronomia competitiva e leale a tal punto da alzarsi in volo per rompere l’aria ed esser nostro volano verso i Balcani. Una volta dentro la bocca del castello, il mio animo è quello di Pinocchio dentro la balena, agitato dal mare che si muove lungo il perimetro delle mura a filo sull’isola, curioso di salire le scale sconosciute appena penetrate dal sole e, una volta fuori dalla pancia e più vicino al sole, vede il volo del rapace di cui scopre adesso un potente becco degno della robusta costituzione. Finalmente capace di dispiegarsi in un volo maestoso piuttosto che capanna sull’acqua! Artigli affilati, anziché pali, utili per tenersi aggrappata all’isola arcipelago di culture.

[Grazie a Mondi Kikino, chef di Tirana,  per il contributo informativo utile all’ispirazione e per le foto 3 Reshedie, 4 Petanik me fasule, 5 Tiella di riso patate e cozze]

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